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ELEPHANT WOMAN

Regia e drammaturgia Andrea Gattinoni

con Silvia Lorenzo

Spettacolo vietato ai minori di 14 anni | durata 1h 10'

Lo spettacolo racconta le vicende di Topazio B, donna trentacinquenne che decide di abbandonare lavoro, famiglia e amicizie per gettarsi in una vita ai margini della legalità. Cosa succede quando, con sguardo cinico e disincantato, si sceglie la ribellione a tutto come reazione alla mancanza di amore? Elephant woman è il primo segmento della "trilogia 34, con cui l'autore vuole affrontare i concetti di "distruttività umana" e di "mancanza d'amore" negli ultimi 50 anni.

"REMEMBER" Tributo a Primo Levi

Il progetto, nato da un’idea del chitarrista e compositore Francesco Bruno, si traduce in una rappresentazione live multimediale in omaggio e nel ricordo del grande scrittore e poeta Primo Levi.

La lettura delle poesie scelte dall’opera dello scrittore, sono affidate alla attrice Silvia Lorenzo

e portate sulla scena insieme alle composizioni musicali live del Francesco Bruno ensemble con la partecipazione del batterista Marco Rovinelli ed il contrabbassista  Jacopo Ferrazza.

Nell’ambito della rappresentazione live, all’alternarsi di poesia e musica, si susseguono

le creazioni video art del prof. Iginio De Luca, docente presso l' Accademia delle belle arti di Frosinone, che ha coinvolto in questo progetto un gruppo di giovani studenti del corso di installazioni multimediali e del regista Giovanni Bruno, docente presso la Scuola di Cinema "Sentieri Selvaggi" di Roma.

 

Il progetto è stato presentato con grande successo al Festival of Jewish Culture in Warsaw 2016 ‘Singer's Warsaw’ in cooperazione con l’Istituto Italiano di Cultura di Varsavia

       

Regia di  Francesco Bruno e Iginio De Luca

MOI

Regia Andrea Gattinoni

In scena Silvia Lorenzo

Voce di Rodin : Massimo Popolizio

Voce fuori scena: Anna Bonaiuto

Drammaturgia: Chiara Pasetti

"Dormo completamente nuda per illudermi che voi siate qui, ma al risveglio non è la stessa cosa. Mi raccomando: non mi tradite più" Camille Claudel.

 

Siamo così soli perché siamo doppi infiniti. Attraverso lo sguardo dirompente di Camille Claudel su se stessa, sul proprio femminile, sull’altro e sugli altri, sulla propria arte, sullo spazio fisico prima riempito e poi svuotato dalle proprie opere distrutte, “Moi” è un lavoro sul doppio impossibile ed essenziale che ci costituisce, che ci eleva, che ci distrugge. E che, in definitiva, rende a noi possibile la parola “Io”.

Andrea Gattinoni

IO. CAMILLE

Lo spettacolo "Io. Camille" vuole raccontare la scultrice geniale e la donna appassionata che fu

Camille Claudel (1864-1943). Personalità inquieta, irriverente, incline a violente passioni, condusse

un’esistenza interamente dedicata alla sua arte, svolgendo un mestiere da uomini e legandosi sia

artisticamente sia sentimentalmente al maestro della scultura francese Auguste Rodin.

 

La fine della loro relazione segnerà un distacco definitivo, irreversibile, che si riverbera anche nelle opere di

entrambi. Mentre il suo nome, finalmente, comincia ad emergere, e il suo talento viene

riconosciuto, Camille si chiude in un isolamento carico di manie di persecuzione, distruggendo

molti suoi lavori. Abbandono, rabbia, amarezza, solitudine, frustrazione, delusione, amore ferito,

odio, senso di «qualcosa di assente» che sempre l’aveva tormentata...

 

Tutto questo confluisce in una psicosi paranoica per la quale la madre e il fratello Paul ne chiedono

l’internamento in un asilo per alienati mentali. Un ricovero che pare essere “temporaneo”, e che la vedrà

trent’anni chiusa fra le mura del manicomio di Montdevergues, presso Avignone; non scolpirà più una sola 

opera dal momento del suo ingresso. Morirà in manicomio, nel 1943. Sola, abbandonata da tutti. Nemmeno il

suo nome nella fossa comune, ma un numero di matricola: 1943-392. Impossibile capire di chi si trattasse.

Ero io... Io. Camille.

Lo spettacolo "Io. Camille" vuole raccontare la scultrice geniale e la donna appassionata che fu

Camille Claudel (1864-1943). Personalità inquieta, irriverente, incline a violente passioni, condusse

un’esistenza interamente dedicata alla sua arte, svolgendo un mestiere da uomini e legandosi sia

artisticamente sia sentimentalmente al maestro della scultura francese Auguste Rodin.

 

La fine della loro relazione segnerà un distacco definitivo, irreversibile, che si riverbera anche nelle opere di

entrambi. Mentre il suo nome, finalmente, comincia ad emergere, e il suo talento viene

riconosciuto, Camille si chiude in un isolamento carico di manie di persecuzione, distruggendo

molti suoi lavori. Abbandono, rabbia, amarezza, solitudine, frustrazione, delusione, amore ferito,

odio, senso di «qualcosa di assente» che sempre l’aveva tormentata...

 

Tutto questo confluisce in una psicosi paranoica per la quale la madre e il fratello Paul ne chiedono

l’internamento in un asilo per alienati mentali. Un ricovero che pare essere “temporaneo”, e che la vedrà

trent’anni chiusa fra le mura del manicomio di Montdevergues, presso Avignone; non scolpirà più una sola 

opera dal momento del suo ingresso. Morirà in manicomio, nel 1943. Sola, abbandonata da tutti. Nemmeno il

suo nome nella fossa comune, ma un numero di matricola: 1943-392. Impossibile capire di chi si trattasse.

Ero io... Io. Camille.

Lo spettacolo "Io. Camille" vuole raccontare la scultrice geniale e la donna appassionata che fu

Camille Claudel (1864-1943). Personalità inquieta, irriverente, incline a violente passioni, condusse

un’esistenza interamente dedicata alla sua arte, svolgendo un mestiere da uomini e legandosi sia

artisticamente sia sentimentalmente al maestro della scultura francese Auguste Rodin.

 

La fine della loro relazione segnerà un distacco definitivo, irreversibile, che si riverbera anche nelle opere di

entrambi. Mentre il suo nome, finalmente, comincia ad emergere, e il suo talento viene

riconosciuto, Camille si chiude in un isolamento carico di manie di persecuzione, distruggendo

molti suoi lavori. Abbandono, rabbia, amarezza, solitudine, frustrazione, delusione, amore ferito,

odio, senso di «qualcosa di assente» che sempre l’aveva tormentata...

 

Tutto questo confluisce in una psicosi paranoica per la quale la madre e il fratello Paul ne chiedono

l’internamento in un asilo per alienati mentali. Un ricovero che pare essere “temporaneo”, e che la vedrà

trent’anni chiusa fra le mura del manicomio di Montdevergues, presso Avignone; non scolpirà più una sola 

opera dal momento del suo ingresso. Morirà in manicomio, nel 1943. Sola, abbandonata da tutti. Nemmeno il

suo nome nella fossa comune, ma un numero di matricola: 1943-392. Impossibile capire di chi si trattasse.

Ero io... Io. Camille.

ANIMA MIA CHE METTI LE ALI

storia di Sabina Spielrein

Regia Silvia Lorenzo - Przemek Wasilkowski

Drammaturgia Silvia Lorenzo

Progetto sviluppato in collaborazione con il Grotowski Institute (Wroclaw – Polonia)

S

"Se anche parlassi tutte le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi l’amore, sarei come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna..."

Sofferente di una grave forma di isteria Sabina SPIELREIN, ebrea russa, fu paziente di Jung, ed in seguito sua amante. Laureatasi in medicina divenne ella stessa psicanalista e sicuramente le sue teorie influirono sul lavoro di Jung. Figura a lungo ignorata e sottovalutata fino al ritrovamento ed alla pubblicazione della sua corrispondenza con Jung e Freud.

Anima mia che metti le ali è il percorso di Sabina, lontano dal cliché della “follia” dove la comunità scientifica ha voluto ingenuamente relegarla.

In scena la donna che, grazie alle sofferenze accolte ed interpretate, ha raggiunto la consapevolezza della propria complessità, trovando, alla fine, la porta della sua “cella”, la sua passione e la sua forza, il suo pensiero di donna anticonformista, precorritrice dei tempi, segnata dalla pulsione amorosa, dal dolore e dalla grande forza.

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